Tutti la vogliono di Ruinetti
#338553 / viewed 2502 timesTUTTI LA VOGLIONO
Di Franco Ruinetti / da FighilleArte
http://fighillearte.blogspot.com/2019/06/tutti-la-vogliono-by-franco-ruinetti.html
Nel piazzale della stazione c'era, sul cavalletto, la moto Guzzi 500 del dottore e il sole giocava con le pozzanghere, che fumigavano in una mezza mattina dell'estate. Io, che passavo di lì, mi fermai attratto dalle cromature lucenti di quella macchina. L'ampio slargo, a quel tempo, era tutto vuoto, mentre, al giorno di oggi, le automobili si contendono i riquadri.
“Ciao Franco.”
“Ma che fai lì appoggiato alla bicicletta?”
“Ascolto, mi piace ascoltare.”
Le parole di una canzone avevano le ali, volavano nell'aria e mi portarono con loro. Il testo era breve e a me noto perché lo cantava mia nonna che conosceva solo quello. Parlava dell'Abissinia, di morette da baciare e avvertiva Menelike che “le palle son di piombo e non pasticche.”
La voce in sordina, contrastata dal cinguettio delle rondini, che trascorrevano in pattuglia, richiedeva attenzione. Anche io mi misi ad ascoltare, piaceva anche a me.
“Chi è che canta?”
Non mi rispose. Era in trance, fuori dal mondo. La cantante, finita la canzone, che forse era breve oppure non ne sapeva più, la ripeteva e la ripeteva ancora.
Guardavo Luca, così si chiamava. Mi dispiaceva distrarlo, aspettavo che tornasse da quell'assenza.
“Luca!”
Niente, ancora era fuori di sé, mi fece cenno di fare silenzio con l'indice sulle labbra, dritto come un cipresso senza vento.
“Menelicche... Menelicche...”
La canzone mi ricordò quegli anni che avevo vissuto solo nelle pagine del libro di storia: l'Amba Alagi, Makallé, Toselli.
“Luca, svegliati!”
“Sì, dimmi.”
Luca era un amico. Non lo frequentavo spesso perché lavorava e non aveva tempo di bighellonare come me, che ero quasi studente. Ci si conosceva dalla scuola elementare, in quarta eravamo stati, per l'intero anno scolastico, vicini di banco. Era bravo nella soluzione dei problemi, mentre faticava nelle composizioni come temi, diari, riassunti. Una volta il maestro giudicò certe sue frasi asmatiche, una volta lui scrisse che le poesie erano aria fritta.
“Ma chi è questa che canta?”
“E' la Menca, non la conosci?”
“Sembra che tu ci abbia una cotta!”
“Sì, mi piace, anzi, a te lo posso confidare: mi piace proprio.”
“Ti sei innamorato della voce?”
“Di tutta, mi sono innamorato di tutta.”
Menca è l'abbreviazione di Domenica, ma lei, almeno a mio parere, non era una festa.
“De gustibus non disputandum.”
“Mi piace proprio, ma lei sta con un altro.”
“Fossi al tuo posto cambierei cotta.”
Parlammo a lungo sempre in piedi nel bel mezzo del piazzale anche dopo che la melodia canora si era spenta. Ogni tanto salutavo l'amico, ma lui mi tratteneva tirandomi un braccio, aveva bisogno di sfogarsi, forse di essere consolato. Pensai fosse disperso nella depressione, investito da un'idea fissa e, per me, sbagliata. Cercavo di dirgli, non in modo diretto, ma con giri di parole per non fargli male, che la Menca non era decisamente brutta, ma neanche bella. D'altronde ce l'avevo presente nello specchio della mente con il naso come un rostro e con quegli strani capelli rossi sparati a raggiera.
“Non dirmi che è brutta, molti la corteggiano, tutti la vogliono.”
“Tu ci hai provato?”
“No, ma lo sa.”
Era vero. Aveva numerosi pretendenti, ma perché s'era sparsa la voce che lei non sapesse dire di no (poi in giro c'era tanta fame) e quando la preda è facile i cacciatori sono bravi.
Qualche tempo dopo li vidi in lontananza che camminavano nella via maestra l'uno a fianco dell'altra. Mi venne l'impulso di evitarli, ma poi decisi di incontrarli.
“Ciao Luca.”
“Ti presento la Domenica.”
“Canta ancora Menelicche? Com'è che conosce quella canzone?”
“Mi piace, rispose, la cantava mia nonna.”
In seguito, molto in seguito, seppi che si sposarono e stettero insieme una trentina di anni senza generare figli. Quando, prematuramente, lui morì le lasciò un cospicuo capitale. Poi l'ho rincontrata con quei capelli sempre rossi, a raggiera, meno ispidi di quando era giovane, un po' domati dal tempo. Abbiamo fatto finta di non vederci. Teneva per mano un vecchiotto, anche lui dotato di un bel becco. Mi sono immaginato come fiorissero i baci all'ombra grande di quei nasi. E ho ripensato spesso a lei, vissuta d'amore. Il quale è dei belli, dei brutti, dei giovani, dei vecchi. E' di tutti: cieco e democratico.
Franco Ruinetti
Illustrazione di Man
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